Anche noi traduttori freelance andiamo in ferie. Lo so, è da non crederci…
Traduzione | Come si riconosce un traduttore freelance?
Ho iniziato ad affacciarmi al mondo della traduzione quando ancora abitavo con la mia famiglia.
Al tempo avevo ritmi di lavoro totalmente diversi da quelli che ho oggi.
Innanzitutto, non avevo limiti di orario. Mi capitava di accettare un progetto di traduzione nel tardo pomeriggio e di lavorarci tutta la notte, benché la consegna non prevedesse tanta fretta.
Muovermi in anticipo, tuttavia, mi faceva sentire più in controllo, permettendomi al contempo di guadagnare tempo prezioso per compiere ulteriori ricerche, revisionare e rileggere il lavoro una seconda, terza o quarta volta prima di consegnare (abitudine che, tra l’altro, ho conservato ancora oggi).
Quando non traducevo, passavo il tempo a leggere gli interventi dei colleghi traduttori sulle bacheche di Proz o negli innumerevoli gruppi di traduzione su Facebook, a valutare la traduzione di siti multilingue o a tradurre testi che trovavo interessanti per “mantenermi in allenamento” (ad esempio l’intervista a François Grosjean).
È stata la mia gavetta. Ed è stato un periodo stancante, condito di qualsiasi tipo di insicurezza, ma bellissimo anche per queste ragioni.
È durato molto tempo, almeno fino a quando mi sono resa conto che non ricordavo neppure più quando fosse stata l’ultima volta che mi ero presa un giorno libero. Quando dicono che i traduttori lavorano anche la sera o nel fine settimana, è spesso vero. Penso tuttavia che valga per molti altri lavoratori freelance, non soltanto per noi.
Traduzione in notturna
In quel periodo, la notte era il mio momento preferito. Vi sono un’atmosfera e un silenzio, nelle ore notturne, che accompagnano l’atto traduttivo in maniera meravigliosa.
Mi piaceva tutto: il lento raffreddarsi della tisana, la luce “da frigorifero” che irradiava dal computer, quella tenue della lampada che tenevo un po’ discosta e che, ai miei occhi, appariva come una versione moderna di una candela.
Poi, di tanto in tanto, mi alzavo dalla scrivania per sgranchirmi un po’ e andavo a respirare aria e silenzi sul balcone.
Il balcone della mia stanza si affacciava sul cortile interno, riversandosi su uno spazio molto vasto delimitato dal mio e altri tre palazzi. In mezzo, il cortile, tetti di edifici più bassi che ospitavano garage, minuscoli giardini.
Anche il cielo visibile era delimitato dai palazzi, naturalmente, e mostrava solo una manciata di stelle per volta.
Mi piaceva guardare le finestre dei tanti appartamenti che, come il mio, si affacciavano su quello spazio, e le loro luci che si spegnevano una a una man mano che ci si inoltrava nella notte… finché non rimaneva accesa soltanto la mia.
Tra ieri e oggi
Oggi le mie abitudini sono molto diverse. Una tra tutte, lavoro seguendo un orario da ufficio. Questo mi ha permesso di adottare un approccio più efficiente per la gestione dei progetti, di lavorare con più energia e di porre un limite alle ore di lavoro giornaliere a vantaggio della mia vita sociale.
Ho dovuto insomma limare un po’ la mia tendenza allo stacanovismo.
Ammetto però che talvolta, mentre lavoro, il silenzio e l’atmosfera della notte mi mancano. Quando ho visto l’immagine che ho usato per questo post, mi è tornato in mente quel periodo con un filo di nostalgia e ho pensato: “È così che si riconosce un traduttore: è l’ultima luce che rimane accesa nel buio”.
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